Wednesday, December 27, 2017

Andrea Chenier - Teatro alla Scala, Milano

Foto: Brescia&Amisano - Teatro alla Scala

Massimo Viazzo

Due sono stati i trionfatori della serata che ha inaugurato la nuova stagione scaligera con Andrea Chénier di Umberto Giordano, un’opera che mancava dal teatro milanese da più di trent’anni. Innanzitutto è stato Riccardo Chailly a meritare il plauso generale per la capillare analisi della partitura, per la passione profusa nella concertazione, per la dedizione nella cura del fraseggio della linea di canto e per la caparbietà nel riproporre un repertorio, quello del verismo italiano, la cui presenza non è proprio così scontata nei cartelloni dei teatri lirici (altri titoli più o meno noti di questo periodo saranno messi in scena nelle prossime stagioni anche con l’appoggio convinto del sovrintendente Pereira). Chailly ha saputo imprimere alla partitura un passo teatrale sicuro e sempre fluente. L’idea di eseguire il lavoro accorpando i primi due atti senza cesure, come pure gli ultimi due, è risultata vincente, così anche la volontà di evitare le interruzioni interne agli atti stessi al termine delle Arie, dove in effetti non c’era spazio per l’applauso di tradizione ma le stesse venivano incastonate nel tessuto dell’opera senza soluzione di continuità e non come corpi estranei, in una idea di fondo che puntava dritta alla continuità narrativa e alla tenuta sinfonica della partitura. E l’Orchestra del Teatro alla Scala ha risposto magnificamente alle sollecitazioni del direttore d’orchestra milanese.  Straordinaria per intensità, bellezza timbrica, opulenza vocale tout court è stata poi la prova di Anna Netrebko, al suo debutto nel ruolo di Maddalena di Coigny. 
La Netrebko ha emozionato con il suo canto morbidissimo sempre sul fiato, straordinariamente omogeneo nei registri e di accento nobile. Impossibile resistere alla sua interpretazione così intensa, toccante di La mamma morta, Il tenore azero Yusif Eyvazov, marito nella vita della Netrebko, era aspettato al varco dai loggionisti in un ruolo che era stato appannaggio in passato di due mostri sacri come Mario Del Monaco e Franco Corelli. Eyvazov non ha sfigurato dal punto di vista prettamente vocale. Fraseggio non rigido, uso del legato, dizione chiara e dinamica varia hanno caratterizzato una prova del tutto convincente. Certo, la sua timbrica non era seducente, l’attore era un po’ impacciato, ma le sue doti canore gli hanno permesso di dominare un ruolo così arduo con una certa sicurezza. Luca Salsi ha impersonato il tormentato Carlo Gerard con padronanza e autorevolezza vocale. Forse sarebbe stata gradita qualche sfumatura in più nella sua linea di canto, ma la sue voce voluminosa è parsa sana, e ben timbrata. Bravissimi tutti i comprimari con una nota di merito soprattutto per l’attraente Bersi di Annalisa Stroppa, il mellifluo Incredibile di Carlo Bosi, la commovente Madelon di Judit Kutasi e il caloroso Roucher di Gabriele Sagona. Sempre ottimo il Coro del Teatro alla Scala diretto da Bruno Casoni. La regia dello spettacolo è stata affidata a Mario Martone, una regia scrupolosamente rispettosa del libretto ma non particolarmente coinvolgente.

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